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"Cristo morto" alla Pinacoteca di Brera

"Cristo morto" alla Pinacoteca di Brera

I capolavori della Pinacoteca di Brera

Il Cristo morto

Tra il 1475 e il 1478 Andrea Mantegna prende una tela, cosa rara per l’epoca, di circa cm 68 per 81, colori a tempera e crea uno dei capolavori più sorprendenti di tutti i tempi.

 

Come la Gioconda di Leonardo e la Fornarina di Raffaello, Mantegna tenne “il Cristo morto” sempre con sé.

 

Il tema del compianto sul corpo del Cristo morto non era certo nuovo e, anzi, era tra i più diffusi, ma Andrea Mantegna scelse un modo di rappresentarlo che ha dell’incredibile: mette l’osservatore direttamente nel luogo dove è riposto il cadavere, ai suoi piedi, con uno scorcio prospettico vertiginoso.

 

In primo piano non c’è la sofferenza della Madonna o di Maddalena, non vediamo una scena completa, aperta e alla giusta distanza; in primo piano ci sono i piedi del cadavere.

Piedi che sporgono dal piano di marmo e invadono il nostro spazio, attirandoci come fossero potenti calamite.

 

Coloro che piangono il Cristo sono compressi in alto a sinistra, ridotti al solo viso; lo spazio è condiviso solo tra noi e il Cristo.

I colori, a quel tempo tanto apprezzati e vivaci, quasi mancano per non interferire coi nostri pensieri.

 

Nella prospettiva, nello “scorcio”, tutto il talento di Mantegna ed ecco perché.

Il pittore conosceva perfettamente le regole della prospettiva, la costruzione a linee convergenti e le relative misure, utili per adeguare le parti del corpo così sdraiato.

 

Malgrado l’indubbia maestria del Mantegna, ecco che i piedi sono più piccoli di quello che dovrebbero essere, le gambe più corte, per abbreviare la corsa verso il volto che è un po’ troppo grande, come le braccia e le mani appoggiate a mostrare le ferite dei chiodi.

 

Insomma, le misure non rispettano la prospettiva, ma rispettano invece i meccanismi di lettura della nostra mente, che ricostruisce e accetta la raffigurazione di Mantegna come perfettamente naturale e coinvolgente.

 

È di fronte a opere come questa, mai più replicata e nemmeno imitata,

dove già c’è un taglio così moderno e “fotografico”,

dove la crudezza espositiva e simbolica anticipa magistralmente anche il Caravaggio,

dove un pittore del 1400 possiede una tale sapienza e padronanza tecnica, che si può parlare di “genio”.

 

Andrea Giuseppe Fadini

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