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Pittori che scrivono

Pittori che scrivono

Ci sono stati molti pittori che, oltre a dipingere, si sono dati anche alla parola scritta.

De Pisis, De Chirico, Mirò, Courbet e più indietro il solito Leonardo da Vinci erano bravi anche nel maneggiare le parole.

 

Ci sono anche poeti e scrittori di prima grandezza come Montale, Gatto, Buzzati, Levi ecc. che si dedicarono anche alla pittura.

 

Non è di questo che voglio occuparmi e nemmeno dei pittori che scrivono per raccontarsi come Hayez, che elaborò una ben costruita autobiografia, o Van Gogh, che con più di 600 lettere al fratello Theo realizzò un vero e proprio diario della sua vita.

 

La mia curiosità si rivolge a due pittori in particolare, che hanno scritto dei veri “trattati” di teoria pittorica: Paul Klee e Vasilij Kandinskij.

 

Sono due pittori che dopo secoli di pittura figurativa hanno scelto la via dell’astrattismo: non più ciò che si vede, ma ciò che si immagina.

 

Klee, non staccandosi mai del tutto dalla realtà come punto di partenza, e Kandinskij, invece, inventando composizioni con linee, cerchi e figure geometriche di colore.

 

Sono veri e propri libri in cui argomentano e spiegano la loro idea di pittura e forniscono la base concettuale per comprendere le loro immagini.

 

Credo sia da questo momento che il rapporto tra il “pubblico” e gli artisti si modifichi e, per larga parte del pubblico, diventi dialogo tra sordi.

 

Da un lato l’artista, qualsiasi strada prenda, non richiede più l’approvazione del pubblico, ma solo di quella “elite”, di quel “giro che conta” e che lo aiuterà a giustificare qualsiasi opera, costruendo (a volte a posteriori) un apparato concettuale teorico.

 

Se questa teoria è poco comprensibile non importa: la responsabilità è di chi non capisce, perché non è “del settore”, non è istruito.

 

Dall’altro il pubblico, che ritiene di capire perfettamente un quadro di Raffaello (spesso non è così), senza nemmeno studiare la vita e il contesto culturale dell’artista, conoscenza che, oltretutto, darebbe maggior valore alla lettura dell’opera.

 

Oppure affronta un quadro in maniera puramente istintiva: “Non mi emoziona” o anche: “Non mi dice niente”, senza accertare che magari il quadro è lì che parla, ma noi siano a orecchie tappate.

 

Mi piacerebbe un tempo in cui l’artista non cercasse solo l’applauso del giro ristretto di chi segue il denaro (musei, collezionisti, galleristi, case d’asta e speculatori), ma si rivolgesse a tutto il pubblico, alla gente per ricreare e rivalutare un mezzo di comunicazione tra i più eccelsi: l’arte.

 

Andrea Giuseppe Fadini

 

 

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