Un muro per dipingere
Dipingere sui muri non è cosa nuova.
Il primo materiale su cui l’uomo iniziò a disegnare fu proprio la parete di una caverna.
Più avanti, quando gli artisti divennero dei professionisti, i muri furono quelli delle ricche dimore aristocratiche e delle chiese.
Tutti ricordiamo gli stupendi affreschi di Raffaello, Michelangelo e Veronese.
In seguito, per praticità, i pittori si rivolsero verso altri supporti come tavole e tele.
Sono più semplici da dipingere e si possono spostare e trasportare.
Con un balzo nel tempo arriviamo negli anni ’80.
Questa volta i muri sono quelli esterni di casermoni e periferie.
Sono muri brutti, grigi, che a volte ospitano cartelloni pubblicitari, ma che spesso sono puro involucro di alveari metropolitani.
In questi spazi iniziano i “graffitari” con i loro alfabeti di fantasia e colori in bombolette spray.
Questa attività è non solo illegale, ma sgradita a tutti.
I graffitari sono considerati vandali e i loro disegni degli orrori. Imbrattano.
La strada, però, è segnata.
L’idea che i muri possano diventare mostra pubblica per tutti, che questa arte sia invendibile perché intrasportabile, che non ha committente, ma è pura espressione di chi disegna, affascina molti.
Inoltre, si contesta il “giro” elitario dell’arte di musei e galleristi.
Affascina Keith Haring, Basquiat, Black Le Rat e altri “street artist”, che trovano una platea immediata in ogni persona che passa di lì.
In Messico i “Murales” propagandano anche ideali politici e sociali.
Tutto bello. L’unico problema è che nessuno paga il biglietto e l’artista di strada resta in miseria.
Non c’è da preoccuparsi.
Keith Haring in testa non tardò a farsi spazio nel “giro” che conta e il tanto odiato “sistema dell’arte” trovò modo e maniera di riportare all’ordine e al denaro la categoria.
Serve uno pseudonimo un po’ strano tipo Banksy, Orion, Neve, Nuriatol, Spok ecc.
(se pensate che li abbia inventati io, guardate qui: https://www.biennalestreetart.com/gli-artisti-2021/)
Alternano il muro con altri supporti tradizionali per poter organizzare le loro mostre tradizionali grazie a galleristi tradizionali.
Gli “Street Artist” hanno la loro “biennale” e, così, rientrano dall’ingresso principale anche nei tanto disprezzati Musei.
Il gioco è fatto. Buon muro a tutti.
Andrea Giuseppe Fadini
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