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Cogito, ergo pingo

Cogito, ergo pingo

Wassily Kandinsky nasce ricco a Mosca. Come altri protagonisti della pittura di fine '800 viene avviato alla carriera legale e infatti si laurea in legge, mentre impara a suonare il violoncello. Gli offrono la cattedra e la docenza presso l’università di Dorpat. Lui rifiuta e si mette a studiare arte all’Accademia di Monaco di Baviera.

Il suo percorso artistico e concettuale lo porta gradualmente verso l’arte astratta che Wassily teorizza anche scrivendo libri, in cui esamina con precisione la funzione dei colori e delle forme.

Appassionato di teosofia e musica dodecafonica inizia a usare la linea non più come contorno, ma come elemento di comunicazione autonomo.

Ad ogni colore assegna precisi compiti espressivi.

Per esempio: Il giallo è dotato di una follia vitale, prorompente, di un'irrazionalità cieca; viene paragonato al suono di una tromba, di una fanfara. Il giallo indica anche eccitazione, quindi può essere accostato spesso al rosso ma si differenzia da quest'ultimo.

Oppure: L’azzurro è il blu che tende ai toni più chiari, è indifferente, distante, come un cielo artistico; è paragonabile al suono di un flauto. Inoltre il blu scuro viene paragonato al suono di un organo. Il blu è il colore del cielo, è profondo; quando è intenso suggerisce quiete, quando tende al nero è fortemente drammatico, quando tende ai toni più chiari le sue qualità sono simili a quelle dell'azzurro, se viene mischiato con il giallo lo rende malto, ed è come se la follia del giallo divenisse "ipocondria”. In genere è associato al suono del violoncello.

Kandinsky compone un quadro come fosse musica e ogni colore è una nota precisa nel contesto armonico che vuole realizzare. La sue opere, infatti le intitola “improvvisazione numero…” Composizione numero..” come fossero spartiti musicali.

Nel suo approfondito studio sui colori non gli interessa lo spettro fisico, ma l’effetto psichico che si produce attraverso la vibrazione spirituale dell’uomo. Per lui i colori hanno odore, sapore e suono.

Il bello non è più ciò che risponde a canoni ordinari prestabiliti. Il bello è ciò che risponde a una necessità interiore, che l'artista sente come tale.

Questa ricca speculazione concettuale rende l’astrattismo di Wassily Kandinsky estremamente rigoroso e “onesto”. Nessun punto, linea o superficie è lasciato al caso, nessuna “macchia” alla Pollock, ma ogni elemento è attentamente ricercato e studiato per le necessità espressive dell’opera.

Nel suo libro “Lo spirituale nell’Arte” Kandisky scrive:

“L’artista deve educarsi e raccogliersi nella sua anima… deve avere qualcosa da dire, perché il suo compito non è quello di dominare la forma, ma di adattare la forma al contenuto”.

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