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Il “ragazzo ricco” che non diventò (tanto) famoso

Il “ragazzo ricco” che non diventò (tanto) famoso

  

Il padre di Gustave Caillebotte, Martial, aveva un’impresa che, da generazioni, forniva tessili per i militari accumulando una cospicua fortuna.

Non assillava il figlio che, così, era libero di fare ciò che più gradiva. Quando il padre morì, Gustave aveva 26 anni, e con l’enorme patrimonio ricevuto in eredità decise di sovvenzionare la sua attività di artista.

Malgrado il suo talento fuori dall’ordinario, nell’immaginario del grande pubblico a volte è addirittura dimenticato. Per il grande pubblico gli impressionisti sono Monet, Manet, Degas ecc., ma non Caillebotte anche se la sua importanza fu decisiva, e non solo a livello artistico.

Gustave era davvero “avanti” rispetto al suo tempo. Pochi compresero il grande contributo che la fotografia poteva dare alla pittura.

Il pittore capì che la fotografia era il mezzo migliore per documentare la realtà della vita di tutti i giorni tanto cara agli impressionisti. I suoi dipinti, infatti, sono delle vere e proprie istantanee della vita parigina dell’ottocento.

Il taglio è fotografico: persone e oggetti sono tagliati dal bordo della tela, esattamente come nelle fotografie. Le vedute e le prospettive sono dipinte come se usasse un obiettivo grandangolo. Nessuno è in posa, i personaggi sono in movimento e non “guardano in camera”.

Nemmeno quando il taglio del quadro assomiglia ad una ripresa soggettiva, come nel caso dell’immagine del canottiere di questo post. Il vogatore è ritratto come se Gustave fosse seduto di fronte a lui sulla canoa. Addirittura ha anticipato un tipo di fotografia, come le vedute dall’alto o dai balconi, che sarebbe nato solo un decennio più tardi.

Caillebotte ha saputo unire accademismo, realismo e impressionismo.

Gl’impressionisti più celebri gli devono molto. Con le sue ricchezze, Gustave non faceva mancare la sussistenza a nessuno comprando le loro opere. A Monet, un senza soldi cronico, pagava regolarmente l’affitto di una casa nel centro di Parigi.

Per lui mantenere unito il gruppo era molto importante e tentò di tenerlo unito anche quando iniziarono i primi dissapori e differenze di vedute.

Nel 1882, malgrado i suoi sforzi, l’unità del gruppo non c’era più. Lui decise di esporre un’ultima volta insieme a loro e non dipinse più.

Decise anche di non acquistare più quadri e si dedicò ad altre attività: giardinaggio, filatelia e nautica.

La sua prematura scomparsa rivelò un ultimo atto fondamentale di grande impatto per gli impressionisti: donò la sua collezione allo stato, ma a precise regole.

“Io dono allo Stato i dipinti che possiedo; tuttavia, siccome voglio che questo dono sia accettato nella misura in cui le opere non finiscano in una soffitta o in un museo di provincia, ma finiscano prima al Luxembourg e poi al Louvre, è necessario che trascorra un po’ di tempo prima che questa clausola venga eseguita, e cioè fino al momento in cui il pubblico non dico che capirà queste opere, ma almeno le accetterà”

In questo modo una intera collezione di opere impressioniste entrò a far parte di una raccolta pubblica. Tra le 67 opere, forse per un pudore d’altri tempi, nemmeno una era sua.

 L’etichetta di “ragazzo ricco” e la sua bontà d’animo non lo aiutarono a ricevere il giusto merito. Confido che man mano Gustave Caillebotte riesca a occupare il posto che gli spetta nel firmamento degli impressionisti-

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