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Modì, falso “maudit” fuori dai cori.

Modì, falso “maudit” fuori dai cori.

In francese il gioco di parole viene facile: Modì-Maudit cioè Modigliani-maledetto. E dalla sua vita, davvero poco fortunata, hanno attinto a piene mani per costruire lo stereotipo dell’artista matto e senza regole: in tre parole: genio e sregolatezza.

Stanno veramente così le cose?

Amedeo Modigliani nasce a Livorno il 12 luglio 1884. A 14 anni viene colpito da febbre tifoide e due anni dopo da tubercolosi. Le malattie non lo abbandoneranno mai. Costretto a casa riempi fogli e fogli di disegni dimostrando un marcato talento artistico, ma l’economia della famiglia non permetteva l’iscrizione a una scuola d’arte.

Durante un violento attacco di polmonite strappò alla madre la promessa di poter andare a lavorare presso lo studio di Guglielmo Micheli, allievo di Giovanni Fattori.

Dopo aver studiato a Firenze e Venezia, con pochi soldi Amedeo si trasferì a Parigi, perché è lì “che avvengono le cose” 

Modì è gentile, elegante, timido. Sa recitare la “Divina commedia” a memoria come quasi tutte le poesie dei suoi contemporanei. Affascinante e colto è benvoluto da tutti. Circondato dai grandi maestri del tempo diventa amico di Picasso, Derain, Apollinaire, Jacob, Diego Rivera e soprattutto di Brancusi, perché il suo sogno è quello di diventare scultore.

 

Ma la scultura richiede soldi per il materiale e spazio per lavorare, che Modigliani non ha; inoltre per scolpire la pietra occorre forza fisica e certo non essere così malati come lui.

L’amicizia con Brancusi, però, lo forma alle linee allungate, a geometrie ben diverse da quelle pittoriche adoperate negli altri atelier. Le proporzioni leggermente distorte si consolidano con la sua scoperta dei feticci e delle figurine stilizzate del Camerun, del Congo e della Costa d’Avorio. Nasce così il suo stile inconfondibile. 

I dolori ai polmoni e la malattia lo fanno soffrire e per questo si abbandona all’alcol, all’hashish e all’assenzio. Per lui il bere, che comunque lo distruggerà quanto la tubercolosi, non è un fine, è un mezzo.

L’ubriachezza lo tira fuori dall’indecisione, dall’eccessivo timore di essere quello che è. Di certo Modigliani non passava inosservato come tanti suoi colleghi che bevevano quanto lui. Disse bene Picasso: "Si direbbe che Modigliani non possa prendere una sbornia che al crocicchio di Montparnasse".

In un periodo di “movimenti” di “stili artistici” di “etichette" che la critica incollava a profusione (cubisti, impressionisti, espressionisti ecc) Modigliani è una personalità distinta, a parte. Quando Gino Severini gli chiese di aderire al movimento italiano dei “futuristi”, Amedeo rise e disse di no.

Nelle sue corde c’erano un intuito e un’introspezione fuori della norma, una specie di “mentalist”, in grado di leggere e restituire su tela i caratteri delle persone, che invariabilmente si ritrovavano nei suoi ritratti.

Modigliani dipinge velocemente, compie un ritratto in una o due sedute al massimo. La sua pittura è piena di sentimenti personali.

Morì una mattina del gennaio 1920 aggrappato a sua moglie Jeanne (che si toglierà la vita due giorni dopo) in preda ai deliri della meningite turbercolare.

Ci fu un grande funerale a cui partecipò una folla insieme alle comunità di artisti di Montparnasse e Montmartre. Persino gli agenti di polizia, a cui non era proprio simpatico, si misero sull’attenti e gli tributarono il saluto militare.

E come da copione ebbe fortuna postuma. Oggi un suo quadro vale 170 milioni di euro. Per noi valgono di più i sentimenti che ha saputo trasmetterci attraverso i suoi colori e le sue forme.

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