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Telemaco, a che serve dipingere?

Telemaco, a che serve dipingere?

Telemaco Signorini nasce a Firenze nel 1835.

La vita ci riserva anche sorprese bizzarre.

Abbiamo imparato, dalle biografie degli artisti, quanto abbiano dovuto faticare molti pittori per diventare pittori: osteggiati dalle famiglie e dall’ambiente che li circondava e li pretendeva avvocati, lavoratori, tutto… ma non pittori.

Ed ecco Telemaco, figlio di un pittore molto apprezzato al servizio del granduca di Toscana, che vuole dedicarsi… agli studi classici.

Insomma, non si è mai contenti.

Pur controvoglia, grazie alle insistenze del padre, Telemaco Signorini studia pittura. Prima seguendo le lezioni di suo padre e poi iscrivendosi all’Accademia di Belle Arti. Ma l’Accademia non fa per lui.

Dopo solo un anno abbandona gli studi per dedicarsi alla pittura “en plein air” e lo ritroviamo a soli 20 anni al caffè Michelangelo partecipare insieme ai “macchiaioli” a festose e turbolente riunioni.

Ora Signorini è convinto che la pittura sia la sua vocazione e inizia a viaggiare per conoscere e vedere tutto quello che può. Venezia, Ferrara, tutta la Liguria, in Emilia prende spunto dai paesaggi per meglio affinare il suo stile “macchiaiolo”.

Un critico, criticone.

Tornato a Firenze le sue opere, come è facile prevedere, vengono rifiutate dall’Accademia “per eccessivo uso di chiaroscuro” e Telemaco viene etichettato definitivamente come “macchiajuolo”.

In particolare, un critico dell’epoca, Guglielmo Stella, scrive una critica demolendo in tutto le opere e la tecnica di Signorini, concludendo: “l’arte ha per missione di rallegrare, ingentilire e produrre impressioni aggradevoli”.

E cosa c’è di gradevole, per esempio, in un quadro come l’Alzaia dove si mette in risalto la fatica enorme di un lavoro disumano, mentre poco più avanti un giovane “benestante”, con tanto di cappellone e cagnolino al seguito, si gode la giornata?

Lo scopo dell’arte per Telemaco

Signorini, invece, apprezzava gli scritti di Proudhon del tipo: “Il principio dell'arte e il suo scopo sociale” e afferma che scopo dell’arte dovrebbe essere l’utilità (alla base del trattato di Proudhon vige l’idea di “riconciliare l’arte con il giusto e con l’utile”) e che, per raggiungere tale obiettivo il contenuto dovesse prevalere sulla forma.

Per Signorini, dunque, la pittura è solo un mezzo per affermare il suo ruolo di comunicazione e denuncia sociale.

L’arte, per Telemaco, è “rappresentazione idealista della natura e di noi stessi, in vista del perfezionamento fisico e morale della nostra specie”.

Paesaggi e quadri a soggetto militare sono, invece, apprezzati e consentono a Signorini di finanziare la sua denuncia sociale “via pittura”.

Firenze – Parigi – Firenze

Negli ultimi anni Telemaco Signorini viaggia assiduamente a Parigi, dove entra in contatto con tutti i maggiori protagonisti dell’impressionismo. Subisce certamente la loro influenza e Telemaco lavora alacremente per una definizione nuova della sua pittura.

Ponendo l’azione pittorica come semplice “mezzo” per un fine di denuncia, Signorini si crea il problema di giustificare i suoi stessi quadri del tipo: “Porta Adriana a Ravenna” e “Pioggia d’estate a Settignano”.

Signorini muore nel 1901 e, forse, senza aver potuto rispondere pienamente alla domanda: “…a che serve dipingere?”

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